un pensiero per Battiato
Arrivo spesso in ritardo, lo so, e soprattutto non riesco a raccontare le cose in tempo reale come quest’epoca velocissima sembra imporre di dover fare, però un pensiero a Battiato non posso non dedicarlo.
L’ho visto dal vivo diverse volte, nel corso della mia vita. Dell’ultimo suo concerto visto mi è rimasto impresso il momento in cui, dopo una serie di brani intensissimi, appena prima di aprire la parentesi dedicata alle canzoni più nazionalpopolari, guardò verso la band sospirando quasi rassegnato: “eh, vabbè, facciamolo”. Ma ricordo anche, qualche anno prima, un momento in cui, proprio durante uno dei suoi brani più famosi, mentre la security stava trascinando via un ragazzo che aveva lasciato la sua poltroncina per mettersi a ballare sotto al palco, lui smise di cantare per prendere le difese del giovane.
Qualche anno fa ho tenuto una serie di incontri nel carcere di San Vittore per raccontare ai detenuti la storia della musica d’autore italiana. Dopo avere ascoltato qualche sua canzone, un ragazzo di origine straniera che non conosceva nulla di lui mi ha detto: “Questo è un gran paraculo. Scrive testi complicatissimi ma ci mette sotto la cassa in quattro”. Ho sempre pensato che lo stesso Battiato avrebbe sorriso bonario a quel commento e ho provato a spiegare al ragazzo che è anche lì la sua grandezza: mischiare linguaggi diversi senza però mai accontentarsi della banalità. Lanciare un’esca e provare poi a portare l’ascoltatore da tutt’altra parte. O semplicemente andarci, da tutt’altra parte, incurante di chi si fermerà a mangiare l’esca e di chi invece sceglierà di compiere qualche passo in più. Andare avanti con la propria ricerca nei suoni, nelle parole e nell’anima. E lasciarsi dietro enormi lampi di bellezza.
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