un pensiero sulle agenzie editoriali
Il mondo degli aspiranti scrittori vive da sempre una strana contraddizione: moltissimi sembrano considerare la così detta “editoria a pagamento” come un male assoluto ma, al tempo stesso, a quasi tutti sembra normale che la gran parte delle agenzie editoriali (ovvero quelle agenzie che dovrebbero rappresentare gli interessi dello scrittore e fargli avere contratti con editori di un certo livello) chiedano soldi agli scrittori stessi solo per valutare se gli può interessare lavorare con loro (della serie, per essere chiari: «se tu, caro scrittore, mi paghi 300 euro, io valuto se può interessarmi o meno lavorare con te»).
In genere non mi addentro nei noiosi discorsi sui meccanismi dell’editoria, ma questo malcostume mi è sempre suonato particolarmente bizzarro. Anche perchè sappiamo tutti che moltissime di queste agenzie finiscono col vivere dei soldi incassati dagli aspiranti scrittori che rifiutano più che delle esigue percentuali sui guardagni dei loro effettivi clienti.
So bene che la maggior parte delle agenzie giustificano questo meccanismo con la scusa della “scheda di valutazione”. Ed è giustissimo che, se una persona chiede a un professionista un consiglio sulla qualità del proprio lavoro, il professionista in questione si faccia pagare. Ma occorre dire con estrema chiarezza cosa si sta effettivamente vendendo: se stai offrendo un servizio editoriale è un conto mentre se stai facendo scouting è una faccenda completamente diversa. Mischiare le cose e affidarsi all’esca delle illusioni per vendere dei servizi editoriali è un truccheto quanto meno discutibile. Servirebbe un po’ di realismo da parte della categoria degli aspiranti scrittori per non continuare ad alimentare questi meccanismi .
p.s.: nella foto c’è Micia, la mia gattina, quando era cucciola e sognava di fare la scrittrice. Ora è cresciuta e trova più interessante rincorrere le lucertole.
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